Accettando le sue parole, lui disse: «Arrivò due anni dopo la partenza della prima. C’erano cinquanta persone a bordo, con un maz tirannico, un capo. Si chiamava Fodderton. Atterrò in Dovza, a sud della capitale. Il suo equipaggio si mise subito in contatto con i Dirigenti dell’Azienda. Dissero che la Terra avrebbe dato ad Aka tutte le sue conoscenze. Portavano informazioni di ogni genere, informazioni tecnologiche. Ci spiegarono che dovevamo smettere di fare le cose secondo le vecchie usanze ignoranti e cambiare modo di pensare, per imparare quello che potevano insegnarci. Avevano progetti, e libri, e ingegneri e teorici per insegnarci le nuove tecniche. Avevano un ansible sulla loro nave, così dalla Terra potevano giungere subito le informazioni di cui avevamo bisogno».
«Uno scatolone pieno di giocattoli» sussurrò Sutty.
«Cambiò tutto. L’Azienda si rafforzò enormemente. Fu il primo passo della Marcia verso le Stelle. Poi… non so cos’è successo. Ci dissero soltanto che all’inizio Fodderton e gli altri ci davano le informazioni gratuitamente, ma poi avevano cominciato a negarcele e a chiedere in cambio un prezzo assurdo.»
«Posso immaginare che prezzo fosse» commentò Sutty.
Yara la fissò con aria interrogativa.
«La vostra parte immortale» disse Sutty. Non c’era nessuna parola akana che corrispondesse ad "anima". Yara attese che lei spiegasse. «Immagino che quell’individuo avrà detto: "Dovete credere. Dovete credere nell’Unico Dio. Dovete credere che solo io, Padre John, sono la voce di dio su Aka. Solo la storia che racconto io è vera. Se obbedirete a dio e a me, vi diremo tutte le cose meravigliose che sappiamo. Ma il prezzo della nostra Narrazione è alto. Più di qualsiasi somma di denaro!".»
Yara annuì dubbioso, e rifletté. «Fodderton disse proprio che il Consiglio Esecutivo avrebbe dovuto eseguire i suoi ordini. Ecco perché l’ho chiamato "maz tirannico".»
«Lo era.»
«Non so se abbia detto le altre cose… A noi dissero che c’erano state delle divergenze politiche, e che la nave e gli Emissari erano stati rimandati sulla Terra. Comunque… non sono sicuro che sia andata davvero così.» Yara sembrava a disagio, e meditò a lungo su quanto si accingeva ad aggiungere. «A New Alyuna ho conosciuto un ingegnere che ha lavorato alla costruzione dell’Aka Uno.» Si riferiva alla nave QVCLL (Quasi Veloce Come La Luce) in viaggio da Aka a Hain, l’orgoglio dell’Azienda. «Mi ha detto che avevano usato la nave terrestre come modello. Forse intendeva dire che avevano i progetti. Ma dal modo in cui l’ha detto, sembrava che fosse stato a bordo di quella nave. Era ubriaco. Non so…»
I cinquanta missionari-conquistatori unisti molto probabilmente erano morti in qualche campo di lavoro dell’Azienda. Tuttavia Sutty si rese conto in quel momento che Dovza stessa era stata tradita e aveva finito col tradire il resto di Aka.
Era una storia che rattristava. Tutti i vecchi errori, ripetuti in continuazione. Sutty sospirò forte. «Così, non avendo modo di distinguere gli Emissari unisti dagli Osservatori ekumenici, da allora ci avete trattati con estrema diffidenza… Sai, Yara, penso che i vostri Dirigenti siano stati saggi a rifiutare l’affare proposto da Padre John. Anche se probabilmente loro consideravano la cosa una semplice lotta per il potere. Quello che è difficile da capire è che perfino il dono della conoscenza aveva un prezzo. E lo ha ancora.»
«Sì, certo che ce l’ha» fece Yara. «Solo che non sappiamo quale sia. Perché la tua gente nasconde il prezzo?»
Sutty lo fissò, perplessa.
«Non lo so» rispose. «Non mi ero resa conto che… Devo pensarci.»
Yara si appoggiò allo schienale del giaciglio, l’aria stanca. Si strofinò gli occhi, e li chiuse. Disse sottovoce: «Il dono è il lampo» citando evidentemente un passo della Narrazione.
Sutty vide degli splendidi ideogrammi arcuati sulla parte superiore di una parete bianca immersa nella penombra: "L’albero-lampo biforcuto cresce dalla terra". Vide le mani scure e consunte di Sotyu Ang congiungersi nella forma di una vetta sopra il cuore. "Il prezzo è zero…"
Rimasero seduti in silenzio, seguendo ognuno i propri pensieri.
Molto tempo dopo, Sutty chiese: «Yara, conosci la storia del caro Takieki?».
Lui la fissò, poi annuì. Era un ricordo d’infanzia, evidentemente, e richiedeva una breve operazione di ricerca prima di emergere. Trascorsi alcuni istanti, Yara disse deciso: «Sì».
«Il caro Takieki era davvero uno sciocco? Voglio dire, era stata sua madre a dargli il sacco di farina di fagioli. Forse Takieki ha fatto bene a non cederlo, rifiutando qualsiasi offerta.»
Yara meditò. «Mia nonna mi raccontò questa storia. Ricordo di avere pensato che mi sarebbe piaciuto poter andare dovunque, come lui, senza nessuno che badasse a me. Ero ancora piccolo, i nonni non mi lasciavano andare in giro da solo. Così dissi che secondo me Takieki probabilmente voleva continuare a camminare. Non fermarsi in una fattoria. E la nonna mi chiese cos’avrebbe fatto Takieki una volta finito il cibo. Io le risposi: "Forse può contrattare. Forse può dare ai maz una parte della farina di fagioli e tenerne un po’ per sé, e prendere appena qualche moneta d’oro. Così potrà continuare a camminare, e comprare ugualmente da mangiare quando arriverà l’inverno".»
Sorrise fiacco, al ricordo, ma la sua faccia era ancora turbata.
Era sempre una faccia turbata. Sutty ricordava com’era un tempo quella faccia: dura, gelida, chiusa. Adesso era stata aperta a forza.
Yara era preoccupato a ragione. Non stava facendo progressi per quanto riguardava la deambulazione. Il ginocchio non era ancora in grado di sostenere il peso del corpo se non per pochi minuti, e la lesione ai muscoli della schiena gli impediva di usare le stampelle, se non voleva soffrire e rischiare di rallentare la guarigione. Odiedin e Tobadan lavoravano con lui ogni giorno, con infinita pazienza. Yara reagiva alla loro sollecitudine con il suo atteggiamento di pazienza ostinata, ma l’espressione preoccupata non abbandonava mai il suo viso.
Due gruppi avevano già lasciato il Grembo del Silong, andandosene alla chetichella alle prime luci dell’alba: alcune persone, un paio di minule carichi. Nessuna carovana con bandiere sventolanti.
La vita nelle caverne era gestita basandosi quasi interamente sulla consuetudine e il consenso generale. Sutty aveva notato che si evitava di proposito qualsiasi struttura gerarchica. Le persone stavano attente a non far pesare la propria autorità. Accennò alla cosa parlando con Unroy, che disse: «È questo che è andato storto nel secolo precedente l’arrivo dell’Ekumene».
«I maz tiranni» fece Sutty, esitante.
«I maz tiranni» confermò Unroy, sorridendo. Era sempre stuzzicata da certe espressioni usate da Sutty, e dai suoi arcaismi rangma. «La Riforma Dovzana. Gerarchie di potere. Lotte per il potere. Umyazu enormi e ricchi che tassavano i villaggi. Usura monetaria e spirituale! La tua gente è arrivata in un brutto momento, yoz.»
«Le navi arrivano sempre nel nuovo mondo in un brutto momento» commentò Sutty. Unroy le lanciò un’occhiata leggermente sorpresa.
Ammesso che si potesse dire che qualcuno dirigeva le cose al Grembo del Silong, le persone cui spettava tale compito erano i maz Igneba e Ikak. Una volta ottenuto il consenso generale, le decisioni specifiche venivano prese da loro. Una di queste decisioni era stabilire l’ordine e il momento in cui la gente doveva partire. Una sera Ikak andò da Sutty all’ora di cena. «Yoz Sutty, se non hai nulla in contrario, il tuo gruppo partirà tra quattro giorni.»